Che cosa è la pedagogia dell’informazione?
I pericoli del web e dei social, gli algoritmi e l’intelligenza artificiale, lo stato dell’informazione, la guerra cognitiva … Come difenderci da tutto questo? Come prepararci in modo da affrontare queste nuove sfide tecnologiche in modo consapevole? In questo contesto entra in gioco il ruolo fondamentale della pedagogia dell’informazione.
Con questa puntata prosegue la nostra collaborazione con la casa editrice Nexus Edizioni. Trovate le puntate precedenti qui.
Il Prof. Vittorio D’Orsi docente in Sociologia e Pedagogia dell’Informazione ha trent’anni di esperienza nel settore tecnologico e una profonda formazione in ambito umanistico, ha scritto “The Cooperative Management® Model”, Nexus Edizioni:
Il Cooperative Management ® Model si configura come un modello gestionale innovativo che porta alla conduzione dei progetti secondo una visione di natura umanistica, socio-pedagogica, sistemica e organicistica, basata sull’apprendimento.
Ma l’oggetto di questa puntata è il suo ultimo libro “La pedagogia dell’informazione”, Nexus edizioni.
Quale sarà il ruolo della Pedagogia nell’Era degli algoritmi e dell’Intelligenza Artificiale? Come individuano le fonti, in rete, i nostri insegnanti?
Quali sono gli strumenti tecnologici utilizzati per l’apprendimento?
Partendo da alcuni quesiti, questo testo “corale” si propone di guidare docenti, famiglie ed operatori della formazione attraverso una conoscenza multidisciplinare ed olistica delle tematiche proposte, individuando le principali caratteristiche dell’interazione tra le persone e la formazione/informazione mediata dalle nuove tecnologie.
La pedagogia diventa dunque Pedagogia dell’Informazione, osservando il modo in cui l’informazione e la comunicazione influenzano la formazione delle identità e la partecipazione sociale.
Bambini e ragazzi sul Web, il ruolo della pedagogia dell’informazione
Chi lascerebbe mai un bambino da solo all’ingresso d’una simile riserva lasciandolo andare a piedi nel bosco?
Eppure – sorprendentemente – ciò avviene ogni giorno. Accade infatti quando, inavvertitamente o con frettolosa leggerezza, gli adulti lasciano i bambini davanti ad un dispositivo connesso in Rete, sia esso un mobile phone o un tablet. (Tanto sono la generazione Z)
Credere che un bambino o un ragazzo possa orientarsi nel Web, senza una guida, è esattamente come immaginare che possa attraversare il Parco Nazionale d’Abruzzo da solo.
Il termine “nativo digitale” è un termine sbagliato, i bambini vanno accompagnati sul web, perché lasciare un cellulare o un tablet nelle loro mani significa che possono digitare qualsiasi cosa e quindi ritrovarsi in pagine pericolose.
Un’altra cosa da evitare è lasciare i bambini davanti a video a ripetizione, molto veloci, di breve durata, come gli short, i video brevi di Tik Tok, questi video durano pochi secondi e quindi ritroviamo i bambini a fare continuamente scrolling sullo schermo. Questo ha impatti neurologici sull’apprendimento del bambino, infatti c’è un aumento di richieste per disturbi dell’apprendimento, perché se non sono abituato a concentrarmi o a leggere una pagina di un libro, perché non sono abituato, questo crea problemi neurologici.
Al contrario dobbiamo stare insieme ai bambini, guardare un film insieme, leggere un libro, portarli in mezzo alla natura. Il corpo docente deve quindi essere formato per aiutare i bambini ad affrontare questi nuovi pericoli, qui entra in gioco il ruolo della pedagogia dell’informazione.
Si stanno registrando infatti molte segnalazioni da parte dei docenti delle elementari che registrano la crescita del numero dei casi di dislessia, e in generale di problemi del linguaggio e nella lettura.
Si riduce poi la capacità concentrazione ma anche quella di attendere. Uso massiccio di social network e videogiochi, portando anche alla dipendenza da videogiochi.
Tra gli adolescenti la presenza degli “schermi” e le pratiche digitali si moltiplicano con l’uso massiccio di social network e videogiochi, portando anche alla dipendenza da videogiochi.
L’ansia da selfie e l’informazione
Dall’articolo del prof. D’Orsi su Nexus New Times numero 155 (disponibile anche in edizione digitale)
Nel settembre 2021 ha fatto particolarmente scalpore l’indagine interna al gruppo di Zuckerberg, rivelata poi da The Wall Street Journal2, secondo cui sembrerebbe che il management di Facebook fosse a conoscenza della pericolosità di Instagram per la salute mentale delle ragazze adolescenti.
E in effetti, lo studio rivelerebbe che la percezione di sé stesse, per le ragazze, sarebbe alterata per effetto del social network nel 30% dei casi, fino allo sviluppo di vere e proprie patologie psicologiche connesse all’area della depressione. Cosa significa?
Il selfie allo specchio prima d’uscire di casa, da condividere con le amiche, diventa un must, un segnale d’approvazione di sé stesse prima di vivere una qualunque esperienza. Che sarà, naturalmente, immediatamente condivisa. Prima ancora d’averla eventualmente psicologicamente elaborata.
la vita di un giovane, ma anche di un adulto, può essere valorizzata o stracciata nel giro di pochi “Tweet”.
Si è presenti nel gruppo reale se lo si è in quello virtuale e viceversa
in un incessante processo di “reverse engineering” relativamente alla definizione del mondo circostante. Che per forza di cose, è instabile, fluida.
In una comunità, la percezione della realtà viene delineata (anche e fortemente) attraverso la televisione e i social media, che diventano un prolungamento dei nostri sensi, ovverosia la proiezione della realtà sulla parete illuminata della bacheca virtuale cui accediamo, il principale sbocco del nostro visus informativo rispetto al mondo esterno: esattamente come nel mito della caverna di Platone. Se un evento non accade in Rete, quindi, semplicemente non esiste. (L’articolo prosegue dopo l’immagine)
Solo il 29% degli italiani – in linea con statunitensi e inglesi – afferma d’aver fiducia nel sistema informativo, in calo di 11 punti rispetto all’anno precedente. Percentuale che sale al 30% per le notizie che appaiono tra i risultati di un motore di ricerca e che scende al 19% quando (le stesse) emergono sui social media. Secondo il sondaggio, la testata più credibile è l’ANSA, la meno credibile Fanpage. E il 54% si dice preoccupato per cosa è reale e cosa è falso.
Classifica annuale sulla libertà di stampa nel mondo: nel 2022 il nostro Paese è passato con estrema rapidità dal 41° al 58° posto (Su 180 paesi), nel 2023 è risalita al 41° posto.
Nell’immaginario collettivo dunque, nella nostra nazione vige prevalentemente la disinformazione, o comunque un’Informazione non corretta o semplicemente guidata, il cosiddetto mainstream.
La pedagogia dell’informazione
Nel proseguo della puntata il prof. D’Orsi parla della guerra cognitiva che cerca di cambiare non solo ciò che le persone pensano, ma anche il modo in cui agiscono.
Dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi, dell’importanza fondamentale di una adeguata formazione dei docenti affinché trasmettano agli alunni le giuste informazioni e li dotino degli strumenti per affrontare consapevolmente le nuove tecnologie. Si definisce così la figura del Coach Digitale una professione di fondamentale importanza.
Vittorio D’Orsi
Vittorio D’Orsi, classe 1973, ha trent’anni di esperienza nel settore tecnologico e una profonda formazione in ambito umanistico. Dottore in Progettazione e Gestione degli Interventi Sociali ed Educativi e in Scienze della Formazione, esperto in Project Management con due abilitazioni professionali (Mediatore Civile e Coach).
Attualmente è impegnato specificatamente nell’ambito delle Gare nel settore ICT.
È attualmente docente in Sociologia e Pedagogia dell’Informazione. Autore di Cooperative Management & Coaching for Integral Formation (NepEdizioni 2018) e Quattro anni, 6 ore (La Feltrinelli, 2017), The Cooperative Management Model, Nexus Edizioni Srl, 2023