La guerra non è mai una bella cosa, ma quella in medio oriente è particolarmente pericolosa, perché non riguarda solo Israele e la striscia di Gaza, ma coinvolge da vicino l’Iran, il Libano e la Siria (e quindi la Russia). Dalla Turchia arriva una ferma condanna ad Israele, Erdogan ha dichiarato a Israele: “Bombardare i civili è terrorismo, non atto di Stato” e “Annienteremo Israele se colpisce Hamas in Turchia”, mentre gli Usa oltre a rifornire Israele di armi stanno tentando di fermare gli attacchi dei ribelli Houthi che attaccano le navi in transito.
Questa situazione costringe le navi a circumnavigare il continente Africano per arrivare in Europa, con notevoli aumenti dei tempi di trasporto e di costo delle spedizioni che sono quasi quintuplicati, tutto ciò influisce sia sulle forniture che sui prezzi dei prodotti al consumatore.
L’Unione Europea sceglie di scendere al fianco di Stati Uniti e Regno Unito per frenare gli attacchi dei ribelli Houthi e proteggere le navi container che dall’Asia trasportano merci in Europa passando per il Mar Rosso.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha sottolineato che la missione militare europea che l’Italia sta promuovendo con Francia e Germania rappresenta “un passo considerevole verso una vera difesa europea. L’Italia è pronta a fare la sua parte”. E infatti l’ipotesi è quella di inviare una nave della marina italiana per la missione.
Viene da domandarsi se in questo modo l’Italia non stia entrando nel conflitto in corso.
Nel frattempo la Cina sta intensificando la pressione militare su Taiwan.
Una guerra complicata, che nasce da ragioni storiche, politiche e religiose e dei cui retroscena conosciamo davvero poco.
Per questo motivo in questa puntata andremo a scoprire i retroscena economici, l’utilizzo e il significato dei termini Semiti-antisemiti, ariani-non ariani, sionisti-antisionisti, il tragico gioco delle tre carte, tutte truccate. Ma anche dove è la verità e dove invece inizia la menzogna, che come sappiamo accompagna ogni guerra, oggi più che mai dal momento che l’informazione ci manipola attraverso Tv e social e dilaga l’infodemia (Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili).
Questa puntata prosegue la collaborazione di Radio Roma Television (Trovate le precedenti puntate qui) con Nexus Edizioni, i tre ospiti Roberto Pecchioli, autore del libro “La guerra delle parole” , Paolo Gila autore del libro “L’era della Cosmocronia” e Pino Nicotri, hanno scritto tre interessantissimi articoli di approfondimento sull’ultimo numero di Nexus New Times.
America is Back!
Apre le danze Pino Nicotri che presenta il suo ultimo libro “AMERICA IS BACK!” (Joe Biden, gli Stati Uniti e il Mondo), acquistabile in versione cartacea e in versione e-book direttamente sul sito di Nexus Edizioni.
Biden appena eletto nella prima riunione del suo staff e poi anche durante una riunione della Nato: “America is back” ovvero “L’America è tornata”, intendendo che gli Usa sarebbero tornati a governare il mondo politicamente e militarmente, una cosa molto simile a quanto dichiarò il suo predecessore Trump. La differenza e che questo ruolo di guida del mondo Trump lo vedeva più politico discorsivo, infatti è l’unico presidente Usa che non ha iniziato una guerra, Biden invece ha una visione decisamente più militarista. Per “guidare il mondo” da una miglior “posizione di forza” Biden ha messo in piedi in gran segreto, e in soli sette mesi, il nuovo patto militare AUKUS, tra Australia, Inghilterra e USA. Jeffrey Sachs scrive su “Il Fatto Quotidiano” che a comandare su Biden e il complesso militare e industriale che già Eisenhower aveva denunciato nel suo discorso di commiato, dicendo al popolo statunitense stiamo attenti perché c’è il complesso militare industriale che è diventato molto potente e può condizionare la politica.
Complesso che per poter funzionare a regime ha bisogno permanente di tensioni e crisi politico-militari internazionali. Gli USA hanno cioè le mani legate dall’eterno bisogno del “nemico necessario”, senza il quale il livello dell’occupazione e del benessere calerebbe. Biden le mani saprà slegarsele? A giudicare dall’AUKUS non si direbbe.
Quindi bisognerebbe stare attenti in quest’epoca di guerra in Ucraina e in Israele, agli interessi reali politici che non siano quelli dell’industria degli armamenti.
Guerra ad Hamas. quanto può sopportarla Israele?
La parola passa a Paolo Gila che sottolinea come l’economia gli affari e le questioni belliche viaggiano di pari passo perché le risorse per gestire un conflitto sono prevalentemente economiche oltre che psicologiche e umane.
L’economia di Israele è legata al turismo, all’esportazione di prodotti e soprattutto allo sviluppo di una filiera di aziende da alta tecnologia, i militari richiamati alle armi provengono soprattutto da queste filiere e quindi manca all’interno dello Stato di Israele una forza produttiva pari a circa il 25%. Dobbiamo anche pensare che in Israele esistono centinaia di migliaia di immigrati che ogni giorno si recano a lavorare dalla Palestina come muratori, fabbri e manovalanza varia. Poi ci sono circa 44.000 immigranti asiatici. Non sono grandi numeri rispetto ai 9 milioni di abitanti, ma senza questi lavoratori Israele si trova in difficoltà.
soprattutto nel mondo delle start-up dove lavorano molti giovani che non sono molto allineati sulle rigide posizioni di Netanyahu, sono gli stessi giovani che nei mesi scorsi hanno protestato contro la legge che voleva assoggettare la Corte costituzionale all’esecutivo, questi giovani vanno controvoglia in guerra e c’è anche un certo assenteismo. Mancano investimenti per esempio Intel ha rinunciato a un fondo di diverse decine di miliardi per implementare la produzione di microprocessori e di design sui circuiti elettronici.
L’autonomia economica di Israele avrà necessità di prestiti internazionali, con alti tassi di interesse, o dalle sovvenzioni internazionali che però in questo contesto Israele non può pensare ad una guerra lunga, che invece è l’obiettivo dei suoi avversari.
Per esempio i razzi mandati che arrivano da Hezbollah, o da Gaza, o da altre zone incontrano la difesa dell’Iron dome (un sistema di difesa terrestre che intercetta razzi e colpi di mortaio a corto raggio) che è costato due miliardi e mezzo di dollari e ogni lancio di un missile per contrastare gli attacchi costa 50 milioni.
I missili che piovono su Israele non sono di grandi dimensioni perché i suoi avversari non possono permetterseli, ma ogni per contrastare ogni missile che viene lanciato Israele spende 50 milioni. La visione strategica di chi vuole offendere Israele in questo conflitto è quello di trascinarlo in una guerra lunga che Gerusalemme e Tel Aviv non si possono permettere.
I mercati hanno preso le misure a Israele
Viaggiavano intorno ai 50 Punti, ma dopo lo scoppio delle ostilità, quando i mercati hanno riaperto il 9 ottobre del 2023, i CDS (Credit Default Swap) collegati ai bond israeliani, sono schizzati in breve tempo a 140 punti, valore praticamente triplicato.
I CDS esprimono il costo che un investitore deve sostenere per assicurarsi la copertura del rischio in caso di acquisto di titoli di debito pubblico statale sul mercato.
Questi strumenti sono in pratica una “polizza assicurativa” che mette al riparo dai rischi di fallimento di un Paese. In soldoni, per ogni 10 mila dollari investiti in Bond israeliani il premio da pagare per riottenere il capitale investito e annullare il pericolo
della bancarotta è di 140 dollari.
E tale indicatore può essere preso come termometro della fiducia sulla solvibilità del debitore che fa ricorso ai prestiti sui mercati internazionali.
Per intenderci, negli stessi giorni seguiti agli attacchi di Hamas, i CDS statunitensi viaggiavano sui 50 punti. I CDS legati al debito pubblico italiano erano a 108, quelli turchi a 370. I CDS egiziani, sull’orlo della bancarotta, a 1600 punti.
In sostanza, chi investe sa che i titoli israeliani hanno un rischio implicito più alto di quelli italiani, ma ancora molto lontano dai titoli turchi e egiziani. È anche questo un effetto della guerra con Hamas. E i mercati, che danno un prezzo a tutto, hanno preso le misure anche per Israele.
Il principio Verità e la guerra di Israele
Roberto Pecchioli spiega che la menzogna oggi se ne va in giro travestita da verità e mai come durante una guerra menzogna e verità si confondono. Potrebbe sembrare o forse qualcuno vorrebbe far pensare che Israele stia “vincendo facile”, ma le cose non stanno così e la situazione è molto più complessa.
Anche in questo caso è in atto una guerra delle parole, non solo nei comunicati o nella narrazione di chi vince e chi perde, di chi è terrorista, di chi è buono e chi cattivo.
Da parte israeliana sono avvenute delle dichiarazioni pesanti e irricevibili fatte addirittura da membri del governo circa l’umanità e addirittura l’animalità dei loro avversari, Hamas non è certo un covo di Orsoline, questo è evidente, ma è chiaro che dopo pochi mesi si parla di poco meno di trentamila morti con migliaia e migliaia di donne e bambini, attacchi a chiese e ospedali, l’uccisione di almeno un centinaio di giornalisti, si parla di qualcosa di veramente molto pesante.
Insieme all’odio, ai rancori e a 75 anni di prevaricazioni, c’è anche il fatto che nelle aree marittime adiacenti alle coste del mar mediterraneo orientale sono stati scoperti grandi giacimenti di gas naturale, insomma situazione è molto ingarbugliata.
Dicevamo è anche una guerra delle parole, che non è quella dei comunicati o delle opposte convinzioni, ma che è quella che ci viene proposta o imposta qui da noi, dove vengono spesso confusi termini che sono estremamente diversi e che sono molto distanti tra di loro, ma che vengono in qualche modo unificati messi nel calderone, per creare confusione e non far capire alle persone.
Si parla di antisemitismo ovvero l’avversione verso popolazioni di origine semita, in particolare del popolo ebraico, che è una pessima cosa, ma lo si confonde per esempio con l’antisionismo o con l’avversione al governo di Israele.
Ma il sionismo, che nacque nel diciannovesimo secolo, è un’altra cosa, è il desiderio delle élite ebraiche che vivevano prevalentemente in Europa, di avere un proprio stato. Il sionismo non ha, o non ha del tutto legami con aspetti religiosi, c’erano sionisti laici addirittura illuministi, sionismi i liberali, socialisti, revisionisti, insomma il sionismo è un’altra cosa. Così come è un’altra cosa essere favorevoli o avversi al governo di Israele. Il governo di Israele oltretutto ha una forte opposizione interna, Israele era sull’orlo di uno scontro durissimo interno, per la questione della Corte Costituzionale. In tempi recenti c’è stato il problema della costituzione di Israele, nella quale si definisce stato ebraico, quindi con una forte connotazione etnica o etnico religiosa, che contrasta con la laicità delle democrazie occidentali, e contrasta anche con il fatto che un quarto della popolazione di Israele è composta da arabi e minoranze di altro tipo, quindi una situazione esplosiva e troppo spesso alle situazioni esplosive c’è chi risponde con la guerra, con tutte le sue conseguenze. L’altra vittima della guerra dopo i morti e dopo le distruzioni è la verità, noi oggi non sappiamo come stiano andando le cose, né per quanto riguarda Hamas che in qualche modo resiste, non sappiamo di quale entità siano le perdite dell’esercito israeliano, da fonti indipendenti sembrano essere più pesanti di quanto viene ufficialmente dichiarato.
Semiti e antisemiti
Ormai lo stato di Israele c’è anche se solo da 75 anni, e quindi ha tutto il diritto di continuare ad esistere. Detto questo nelle democrazie quando una minoranza etnica raggiunge più o meno il 20%, si parla di Stato bi-nazionale, invece Israele ha fatto la scelta di essere uno stato mono nazionale, per giunta caratterizzato anche religiosamente come Stato ebraico, il che per speculare all’Iran che si definisce democrazia musulmana, democrazia islamica, questo non va bene perché le democrazie sono democrazie senza bisogno di aggettivazioni.
A proposito del termine semita, sono semiti i palestinesi e gli arabi e quindi sono antisemiti i ministri tipo Netanyahu e tutti quelli che detestano i palestinesi, questi sono i veri antisemiti, mentre invece l’80% del mondo ebraico non è affatto semita, ma è Ariano come noi. Infatti gli ebrei si dividono, grossolanamente, in Aschenaziti che sarebbero tedeschi che oggi sono l’80%, poi ci sono i sefarditi che vuol dire spagnoli, gli eredi degli ebrei cacciati dalla Spagna dai cristianissimi imperatori cattolici. Eminenti studiosi ebrei hanno dimostrato che gli Aschenaziti, cioè l’80% del mondo ebraico oggi, non ha niente a che vedere con la giudea, con l’antico Israele, con Gerusalemme ecc … sono gli eredi di quelli che una volta erano gli abitanti della Khazaria (Gran Khanato di Khazaria ), un grande Regno attorno al Mar Nero e la Mar Caspio , per evitare le pressioni del mondo islamico con capitale Baghdad e del mondo cattolico con capitale Costantinopoli, decise di convertirsi all’ebraismo, che diventò così la religione del popolo. Ad un certo punto questo regno di Khazaria è entrato in crisi anche per l’invasione di popoli nemici e quindi questi milioni di neo ebrei, che non avevano nulla a che vedere con Israele, sono emigrati in quella che oggi è la Russia.
L’80% degli ebrei non è semita ma è Aschenazita ovvero ariano come noi, l’accusa di antisemitismo andrebbe quindi semmai rivolta agli israeliani e a quant’altri hanno in odio i palestinesi e gli arabi in generale.